SE - Corte dei conti, sg Emilia-Romagna, sentenza 12 agosto 2022, n.142

2023-03-08 14:40:38 By : Mr. ZDAN Shanghai

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Con atto di citazione ex art. 86 c.g.c., depositato il 6 ottobre 2021, successivo all'ordinanza cautelare n. 33/2021 non reclamata (con la quale questa Sezione ha confermato il sequestro conservativo, sulle disponibilità economiche del Sig. C. Giuseppe, originariamente autorizzato con decreto presidenziale), la Procura regionale ha chiesto di condannare il medesimo Sig. C. (già funzionario doganale di III area) al risarcimento della complessiva somma di euro 76.509,96, di cui euro 59.484,96 a favore dell'Agenzia delle Dogane e euro 15.025,00 a favore di Agea.

Più in particolare, secondo l'attorea prospettazione, l'addebito contabile trae evidenza dalla nota, datata 11 gennaio 2021 (Prot. 0007/Ris.), con cui il direttore della Direzione Territoriale VII - Direzione Interregionale delle Dogane e dei Monopoli per l'Emilia-Romagna e le Marche ha denunciato i seguenti danni, del complessivo ammontare [di] euro 122.269,55, eziologicamente riconducibili alla condotta del C. (qualificata, in sede di imputazione penale, in termini di associazione di tipo mafioso, in ragione della consapevole partecipazione del convenuto all'associazione di stampo 'ndranghetistico Grande Aracri, nonché di estorsione e truffa ai danni della società Riso R. oltre che di truffa aggravata ai danni di Agea e di corruzione propria in relazione a un'operazione doganale di importazione dalla Repubblica Popolare Cinese, meglio descritta infra):

- euro 48.450,06 per danno erariale diretto pari al mancato introito dei dazi ricollegabili alla detta operazione doganale;

- euro 16.025,00 per danno da tangente;

- euro 5.000,00 per danno da disservizio;

- euro 4.344,43 per danno da interruzione del nesso sinallagmatico.

La citazione attorea richiama, anzitutto, la documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Bologna, più segnatamente:

- la nota conclusiva della Polizia Giudiziaria n. 10311/2015 - 21 - Operazione "GRIMILDE";

- l'ordinanza di applicazione delle misure cautelari del giorno 11 giugno 2019, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Bologna;

- l'interrogatorio reso da C. Giuseppe davanti al P.M. di Bologna;

- le repliche della Polizia giudiziaria all'interrogatorio reso dal C.;

- la richiesta di rinvio a giudizio della citata Procura della Repubblica di Bologna.

Quindi, la Procura si riporta alla relazione del dirigente dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza all'epoca cui risalgono i fatti commessi da C. Giuseppe e alla sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2021, n. 1025 (con particolare riferimento ai capi di accusa 1, 37, 38, 39 e 40, inerenti alla posizione di parte convenuta).

Parte attrice, facendo riferimento alla nota dell'Agenzia delle Dogane, dettaglia le singole fattispecie di danno asseritamente ascrivibili a fatto e colpa del C.:

- il "danno patrimoniale in senso stretto - danno erariale 'diretto' pari a euro 48.450,06 in relazione al mancato introito da parte del Fisco di imposte (dazi ed IVA) riconducibili ad una singola operazione doganale d'importazione dalla Repubblica Popolare cinese effettuata dalla CHERO PIPING s.p.a.";

- il "danno all'immagine [...] ricollegabile ai gravissimi reati [...] posti in essere" (pur precisando come, in relazione a detta posta risarcitoria, sia necessario attendere che la condanna penale passi in giudicato);

- il "danno da tangente da imputare al C. [...] calcolato nella misura di euro 16.025,00, ossia in misura pari alle dazioni illecite percepite dal funzionario infedele" (con un riferimento alle pronunce Sez. Toscana, sent. n. 136/2021; Sez. Emilia-Romagna, sent. n. 17/2020; e Sez. Lazio, sent. n. 270/2012), da distinguersi in: euro 1.000,00 in relazione all'illecito nel passaggio doganale della Chero Piping s.p.a.; euro 1.525,00 (pari al 50% della somma di euro 3.050,00), corrispondenti alla dazione correlata alla falsa riparazione del compressore della società Ce. s.r.l. al fine di conseguire la proroga dall'Agea per la fornitura di riso dalla società Riso R.; euro 13.500,00, pari alla quota parte di spettanza del convenuto della complessiva somma di euro 30.000,00 ricevuti in relazione ai favori alla società Riso R. e a danno di Agea per il finanziamento che miravano a ottenere i titolari della detta impresa;

- il "danno da disservizio in senso lato", da parametrarsi alle spese sostenute dalla P.A. per l'organizzazione e lo svolgimento dell'attività amministrativa e a quelle impiegate ai fini degli accertamenti espletati dall'Agenzia sui fatti di causa e della necessaria riorganizzazione dei servizi incisi dal comportamento illecito del C., originariamente quantificato dall'Agenzia stessa in euro 5.000,00 e, successivamente (con nota del 22 settembre 2021, prot. n. 019630/R.U.), rimodulato nell'importo di euro 2.703,62 (di cui euro 2.262,17 per spese varie e euro 441,45 per oneri retributivi per lavoro straordinario);

- il "danno da interruzione del nesso sinallagmatico", coincidente con la retribuzione indebitamente corrisposta al convenuto, da riquantificarsi nella somma di euro 7.331,28 (in luogo dell'importo di euro 4.344,43 di cui alla nota dell'Agenzia delle Dogane del giorno 11 gennaio 2021), pari al 10% della retribuzione lorda percepita dalla parte tra il maggio 2014 e il maggio 2016.

La citazione è stata preceduta da rituale invito a dedurre, comprensivo della richiamata istanza di sequestro conservativo ante causam, notificato al C. in data 8 giugno 2021; invito a dedurre rispetto al quale parte convenuta non ha svolto controdeduzioni né ha chiesto di essere sentita.

Si è costituito in giudizio Giuseppe C., con il patrocinio dell'avv. Marcello Mendogni, con due successive comparse (la prima del 31 gennaio 2022 e la seconda del 21 febbraio successivo).

Dopo sintetiche premesse in fatto, la parte convenuta ha preliminarmente chiesto a questa Sezione di valutare l'opportunità di un rinvio del giudizio, in attesa della sentenza del Giudice penale di seconde cure, avanti al quale penderebbe l'appello dallo stesso convenuto proposto avverso la decisione di condanna del C.

Ha, quindi, preso posizione sulla domanda inerente all'importo di euro 48.450,06, evidenziando l'asserita legittimità del codice di tariffa doganale TARIC 7307910090, da sempre impiegato dall'impresa Chero Piping s.p.a., che non avrebbe avuto bisogno di suggerimenti da parte del C.

Quanto al prospettato danno da tangente, ha eccepito che le operazioni contestate dalla Procura sarebbero state condotte dalla parte al di fuori delle funzioni svolte nella propria qualità di dipendente dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza.

Le dazioni monetarie cui si riferisce l'atto introduttivo non integrerebbero danni da tangente, che presupporrebbero sempre l'esistenza di un rapporto di servizio e la correlazione tra l'aumento dei prezzi e il comportamento illecito.

Ha, quindi, eccepito l'insussistenza del danno da disservizio dedotto in citazione, posta l'irrilevanza del supposto disservizio causato dal C.

Ha, infine, contestato la sussistenza del danno da interruzione del nesso sinallagmatico e la sua quantificazione, sia con riferimento al periodo valorizzato dalla Procura, sia alla percentuale applicata rispetto alla retribuzione lorda percepita dal convenuto.

Il 22 febbraio 2022 la Procura procedente ha depositato documenti a confutazione delle tesi di cui in comparsa, più segnatamente:

- una nota del 22 febbraio 2022 dell'Agenzia delle Dogane, con cui quest'ultima ha, in particolare, rappresentato, in relazione ai Signori B. e Ba., rispettivamente socio e Presidente del Consiglio di amministrazione della Chero Piping s.p.a., che il Tribunale di Piacenza ha formulato richiesta di rinvio a giudizio e il G.I.P. ha successivamente fissato l'udienza preliminare;

- il decreto di fissazione dell'udienza preliminare (e la prodromica richiesta di rinvio a giudizio) inerente al procedimento penale avviato nei confronti dei citati Signori B. e Ba.;

- apposite controdeduzioni alla consulenza KPMG depositata dal convenuto C.;

- uno stralcio della sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2021, n. 1025, relativo ai suggerimenti forniti dal C. alla Chero Piping s.p.a.

All'udienza pubblica del 23 febbraio 2022, presenti, per la Procura contabile, il V.P.G. Mingarelli e, per C. Giuseppe, l'avv. Mendogni, la causa è stata rinviata considerati i tardivi depositi delle produzioni delle parti (avvenuti, quanto al C., il giorno 21 febbraio 2022 e, quanto alla Procura, il 22 febbraio 2022).

In data 22 giugno 2022, il convenuto ha depositato un'ulteriore memoria, con la quale ha ribadito i motivi compendiati nella precedente comparsa.

Più in particolare parte convenuta, dopo aver precisato che i Signori B. e Ba. sono i legali rappresentanti di Chero Piping s.p.a., ha evidenziato che:

- quest'ultima società avrebbe svolto, tra il 2014 e il 2017, centinaia di operazioni doganali relative allo stesso prodotto, utilizzando lo stesso codice che, stando all'attorea prospettazione, sarebbe stato suggerito dal C.;

- pur a fronte dei ridotti controlli, non vi sarebbero mai state contestazioni a carico di Chero Piping s.p.a.

Il convenuto ha, quindi, nuovamente eccepito l'assenza di fondamento del danno da tangente, per non avere - a proprio avviso - le contestate attività nulla a che vedere con l'attività lavorativa dello stesso C.

Ha, infine, contestato il danno da interruzione del nesso sinallagmatico, segnatamente ritenendo non proporzionata la percentuale del 10% invocata dalla Procura.

All'udienza pubblica del 13 luglio 2022, il V.P.G. Mingarelli si è riportato all'atto di citazione, evidenziando la sussistenza di tutti gli elementi dell'invocata responsabilità amministrativa, con riferimento a ciascuna delle voci di danno. L'avv. Mendogni, per C. Giuseppe, ha nuovamente preso posizione sulle singole fattispecie di danno, rilevandone l'insussistenza e comunque il carattere non proporzionato nel quantum; ha, quindi, chiesto il rigetto delle domande attoree, siccome sprovviste di fattuale e giuridico fondamento.

Preliminarmente si rileva la ritualità della costituzione di parte convenuta (che, pur avendo versato agli atti due distinte comparse - la seconda delle quali il 21 febbraio 2022, oltre il perentorio termine dei venti giorni ex art. 90 c.g.c. - non ha comunque formulato eccezioni in senso stretto e ha depositato un'ulteriore memoria, del 22 giugno 2022, tempestiva rispetto all'udienza del 13 luglio 2022).

Sempre in via preliminare, si osserva che dal principio di autonomia e separatezza dei processi contabile e penale discende l'insussistenza di quel nesso di pregiudizialità logica-giuridica che, ai sensi dell'art. 106 c.g.c., condizionerebbe una pronuncia di sospensione.

Nel merito, le domande attoree meritano parziale accoglimento.

Sussistono, invero, i presupposti della contestata responsabilità erariale, nei termini che, di seguito, si espongono.

Emerge ex actis l'avvenuta commissione, da parte del C., di condotte di particolare gravità, sia per il loro ontologico atteggiarsi sia per la posizione rivestita dal convenuto all'epoca dei fatti.

Per come, in particolare, consta dall'imputazione penale (pagg. IX e segg. della sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2021, n. 1025), la parte risulta avere:

- fornito un costante contributo per la vita dell'associazione di stampo 'ndranghetistico Grande Aracri, operante nella provincia di Reggio Emilia, tra l'altro partecipando alle riunioni tra gli esponenti della consorteria, agendo per allargare l'espansione del sodalizio entro il sistema economico emiliano e mettendo stabilmente a disposizione prerogative, rapporti professionali e amicali e strumenti per il perseguimento degli interessi del sodalizio emiliano;

- posto in essere condotte di truffa ed estorsione nei confronti della società Riso R. (per avere ingannato i referenti della società, in gravi difficoltà finanziarie, facendo loro credere di poter far loro ottenere, attraverso canali e conoscenze, una consistente linea di credito e, così, indebitamente procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per gli offesi), nonché di truffa aggravata nei confronti di Agea (in particolare giustificando una richiesta di proroga del termine previsto per la fornitura di migliaia di tonnellate di riso tramite un atto che certificava la rottura di un compressore impiegato nella lavorazione del riso presso la società Riso R.);

- favorito, con atti contrari ai doveri d'ufficio, in occasione di un'operazione doganale di importazione dalla Repubblica Popolare Cinese, la società Chero Piping s.p.a., facendo in modo che quest'ultima versasse somme inferiori a quelle dovute all'Agenzia delle Dogane, mediante dichiarazione di una merce diversa da quella effettiva, e percependo, per tale contegno, un compenso indebito.

Le descritte condotte trovano conferme nel quadro probatorio, al quale la Procura procedente fa diretto riferimento.

Tale piattaforma viene suggellata dall'ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna del giorno 11 giugno 2019, di applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere ("sia in ragione della sostanziale continuità nel tempo della condotta illecita, sia dell'assenza di dati di conoscenza suggestivi di una completa o significativa rescissione del vincolo associativo" - cfr. pag. 257 dell'ordinanza) nei confronti, tra gli altri, dell'odierno convenuto (che, insieme al fratello Albino, avrebbe "fornito [...] in più occasioni la confessione stragiudiziale della [propria] appartenenza al sodalizio criminoso" - cfr. pag. 246 dell'ordinanza), nonché soprattutto dalla sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2021, n. 1025, che ha condannato il medesimo C. in relazione a tutti i reati a lui ascritti (si veda la pag. 1270 di detta pronuncia: "Egli è stato ritenuto responsabile di tutti i reati a lui ascritti").

Ferma l'avvenuta allegazione e prova delle descritte condotte, tutte sorrette da un elemento psicologico equivalente al dolo, occorre verificare che dai contegni siano scaturiti danni erariali certi, effettivi e concreti, alla stregua delle coordinate delineate dalla giurisprudenza contabile.

Deve, anzitutto, delibarsi il contestato danno patrimoniale diretto pari a euro 48.450,06; pregiudizio che corrisponderebbe, secondo la prospettazione attorea, al mancato introito dei dazi riconducibili all'operazione doganale di importazione dalla Repubblica Popolare Cinese, effettuata dalla Chero Piping s.p.a., dietro suggerimento del C.

Ora, il versamento di somme inferiori, da parte della società Chero Piping s.p.a., a quelle per legge dovute all'Agenzia delle Dogane integra una certa, attuale e concreta deminutio patrimonii, riconducibile - per come risulta agli atti - all'apporto di Giuseppe C., frutto della propria qualificata esperienza nel settore e delle specifiche competenze e conoscenze dallo stesso acquisite sul campo.

Risulta, infatti, dimostrato che è stato proprio il convenuto a suggerire alla società di indicare la merce come "flange" (accessori per tubi, nel numero di 90 pezzi, con codice di tariffa doganale TARIC 7307910090 e per un importo fatturato di euro 135.857,26) anziché come giunti isolanti monoblocco (con codice di tariffa doganale TARIC 7307931999); cosa che ha permesso alla società di evitare il versamento di euro 42.687,29 (con danno erariale di pari ammontare all'Agenzia delle Dogane).

Emblematica è, in merito, l'intercettazione della conversazione telefonica - validata ai lumi del contraddittorio attuato in sede penale - tra l'odierno convenuto e il di lui fratello Albino, dalla quale emergono le inequivoche dichiarazioni che si riportano:

"Giuseppe: gli ho sdoganato 3 container, glieli ho fatti passare senza visto... c'erano dentro certe cose che costavano cinquantotto, il cinquanta per cento dell'HERZ";

Albino: "Quindi lui ha risparmiato, diciamo!";

Albino: "Quanto più o meno";

Giuseppe: "Devi vedere la bolletta, avrà risparmiato una cinquantina".

Pure rilevante è la seguente, ulteriore, intercettazione, da cui chiaramente si evince il pretium sceleris:

Giuseppe: (apre la busta) ma come 1000 euro (mille euro)? Me ne doveva dare tremila e me ne ha dato mille? Che [...] ha fatto? Boh... da tremila euro me ne ha date mille?";

Albino: tu gli hai detto tremila?

Giuseppe: no lui ha detto ti racimolo due/tremila euro su questa operazione e te li do! Me ne ha date mille... vado a protestare?";

Albino: protestare no però... diglielo;

Giuseppe: quando lo vedo a tu per tu".

Le evidenziate risultanze non trovano confutazione in evidenze di segno contrario nel fascicolo del presente giudizio contabile.

Si vedano, a titolo di esempio, le pagg. 1073-1074 della sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2021, n. 1025, ove si legge «Dalla lettura della vicenda si resta sconcertati dalla facilità con la quale C. Giuseppe ha fatto mercimonio della sua funzione pubblica. Si desume da questo atteggiamento di facile semplicità che egli ha, l'esistenza da parte sua di una lunga consuetudine a questa tipologia di vicende. [...] i fatti sono emersi nel corso delle attività di intercettazione esperita nei confronti di C. Giuseppe. Questi, nella giornata del 7.10.2015, si è recato unitamente al fratello Albino (rimasto però all'interno dell'auto) presso la società Chero Piping S.p.a., con sede in Carpaneto Piacentino (PC) ed attiva nella produzione di raccordi ed accessori metallici per tubi, ove ritirava una busta contenente 1.000 euro. Dal tenore delle conversazioni si comprendeva come tale cifra, non giudicata congrua da C. Giuseppe, il quale si aspettava almeno 3.000 euro come pattuito, fosse collegata ad un suo interessamento presso le dogane di Piacenza, ove lavorava, relativamente a tre container che asseriva aver "fatto passare". Tale interessamento per lo sdoganamento dei tre container senza il visto avrebbe fatto risparmiare alla Chero Piping S.p.A. circa 50.000 euro», nonché le successive pagg. 1084-1085 della citata sentenza, ove, dopo un'accurata analisi delle intercettazioni tutte, si conclude «C. Giuseppe aveva approfittato della propria funzione di funzionario dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza al fine di "sdoganare" tre container della Chero Piping senza le apposite procedure (omettendo o cambiando quindi il "visto"), favorendo così la ditta in questione che avrebbe goduto di un risparmio di "un cinquantino", percependo in cambio il denaro contenuto nella busta ritirata poi il giorno 07.10.2015 (1.000 euro). [...] si apprendeva che effettivamente in data 9.9.2015 (come risulta dai servizi tecnici) erano giunti tre container presso la dogana di Piacenza e che l'operazione era stata effettuata dalla Chero Piping; nella circostanza i tre container erano stati sdoganati ad un dazio del 3.7% del valore statistico delle merci a fronte di un dazio che normalmente, per la tipologia delle merci viaggianti, è di 58,6%. Anche questo ultimo particolare corrispondeva a quanto asserito da C. Giuseppe nel corso della conversazione n. 6497: "Giuseppe: Gli ho sdoganato tre container, glieli ho fatti passare senza visto... c'erano dentro certe cose che costavano cinquantotto, il cinquanta per cento dell'HERZ". Come si comprende, quello che è stato fotografato nell'occasione è il pagamento del prezzo (nel caso di specie inferiore a quanto promesso) pattuito per la corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio concordato tra il B. da una parte il C. dall'altra, con l'intermediazione della Ba. che ha consegnato la busta. Sulla contrarietà agli atti d'ufficio di quanto avvenuto per adempiere al patto corruttivo non vi è nulla da dire dato che l'intervento del C. ha permesso un sostanziale azzeramento dell'importo del dazio».

Significativi appaiono ad abundantiam gli elementi aggiuntivi forniti dall'Agenzia delle Dogane, con la nota del 5 maggio 2021 (prot. n. 96/Ris.), agli atti.

Rilevanti in punto di nesso causale (e ulteriori elementi costitutivi della responsabilità) appare quanto indicato nella prima pagina della riferita nota: "Al fine di meglio delineare la condotta posta in essere da C. Giuseppe nell'episodio di corruzione [...], bisogna considerare la sua figura professionale all'interno dell'Ufficio delle Dogane di Piacenza e soprattutto la sua esperienza specialistica in ambito doganale maturata in più di trent'anni di servizio per l'amministrazione doganale. Nel caso in oggetto il suo contributo alla frode non è da individuarsi nel momento dello sdoganamento vero e proprio, ma il suo apporto è più sottile e fine, lui non ha manipolato i controlli, ma, ancor meglio, ha evitato che vi fossero controlli all'atto dell'importazione, concordando con B. Giorgio Gottardo, presidente del consiglio di amministrazione della Chero Piping Spa, la voce doganale da utilizzare. C. conosce bene i meccanismi di funzionamento e di controllo attivi nel CDC (circuito doganale di controllo), sa benissimo che cambiando la voce doganale con una relativa a merce molto simile si può avere un duplice beneficio, scontare un dazio più basso e non essere assoggettato a controllo, o quanto meno avere la quasi certezza di non subire controlli. Nel caso in oggetto, praticamente, è stata suggerita una voce doganale molto simile - NC 7307910090 - relativa alle flange (che poi sono i componenti dei giunti importati), già conosciuta e ampiamente utilizzata precedentemente dalla Chero Piping Spa, e per la quale i controlli sulle bollette presentate precedentemente non raggiungevano lo 0,5%, in pratica suggerendo quella voce doganale aveva il 99,5% di possibilità (quasi la certezza) che la merce non sarebbe stata oggetto di controllo, così come poi effettivamente accade. La voce doganale utilizzata per scontare il dazio corretto più alto e non avere controlli, viene definita voce doganale di copertura, meccanismo di frode conosciuto e combattuto dall'amministrazione doganale"; come appaiono parimenti significative le conclusioni "[...] come evidentemente emerso dalle indagini, il suo apporto alla messa in atto della frode è stato fondamentale e prodromico all'operazione doganale, suggerendo alla Chero Piping Spa la voce doganale di copertura da utilizzare per pagare un dazio del 3,7% anziché del 58,6% con conseguente illecito risparmio di denaro, e non essere assoggettato a controlli".

Deve, in definitiva, ritenersi fondata la domanda attorea tesa alla condanna del Sig. C. al pagamento del danno patrimoniale diretto corrispondente all'omesso introito, da parte dell'Agenzia delle Dogane, dei dazi riconducibili all'operazione in discorso, compiuta alla luce delle precise indicazioni fornite da parte convenuta, che ne ha incassato il correlato pretium sceleris.

Parimenti sussistente appare il danno da disservizio, che questa Corte ritiene debba essere unitariamente considerato, in linea con l'autorevole indirizzo delle Sezioni unite della Corte di legittimità che concepisce il danno, pur non patrimoniale (ferma la valenza del criterio, per la ratio che sottende, anche in relazione a quello patrimoniale), quale "categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate" (Cass. civ., Sez. un., sent. 11 novembre 2008, n. 26972, spec. § 3.13).

Ad avviso della procedente Procura il "danno da disservizio in senso lato" dovrebbe essere parametrato alle spese sostenute dalla P.A. per l'organizzazione e lo svolgimento dell'attività amministrativa e a quelle impiegate ai fini degli accertamenti espletati dall'Agenzia sui fatti di causa e della necessaria riorganizzazione dei servizi incisi dal comportamento illecito del C.; mentre il "danno da interruzione del nesso sinallagmatico" dovrebbe essere identificato nel pregiudizio corrispondente alla retribuzione indebitamente corrisposta alla parte convenuta.

Ora, se è vero che le poste risarcitorie non possono essere meramente reiterative, allo scopo - di notevole rilevanza ordinamentale - di ovviare a ipotesi di overcompensation (cfr. Cass. civ., Sez. un., sent. 5 luglio 2017, n. 16601, § 7), deve rilevarsi la non integrale sovrapponibilità delle due voci di danno.

Nondimeno, la significativa prossimità delle poste risarcitorie suggerisce la loro unitaria considerazione, sia in linea con l'invocato indirizzo di legittimità (Cass. civ., Sez. un., sent. 11 novembre 2008, n. 26972) sia allo scopo di rispettare appieno gli imperativi di proporzionalità e ragionevolezza del risarcimento (si veda, in merito, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo - Corte EDU, sent. 15 novembre 2016, ric. nn. 24130/11 e 29758/11, A and B v. Norway - nel suo ideale dialogo con gli indirizzi della Corte di giustizia dell'Unione europea - C. giust., sent. 20 marzo 2018, C-524/15, Menci).

Ciò si appalesa in armonia con l'unitaria considerazione del danno da disservizio, quale categoria di sintesi di contegni disfunzionali (da provarsi in forza di peculiari figure sintomatiche), che la giurisprudenza ha fatto propria.

Stando, infatti, a un indirizzo ormai granitico, la posta in discorso ricorre laddove l'azione pubblica non raggiunga, sotto il profilo quantitativo e/o qualitativo, quelle utilità o risultati che ordinariamente possono essere attesi dall'impiego di determinate risorse, posto che il disservizio determina uno spreco delle risorse stesse, negativamente incidendo su efficienza, efficacia e produttività della Pubblica Amministrazione in termini di maggiori costi per il personale e risorse economiche impiegate (cfr., per tutte, Sez. Lombardia, sent. n. 191/2011; Sez. Lazio, sent. n. 80/2015; Sez. Emilia-Romagna, sent. n. 90/2020; sul danno da disservizio come "categoria di sintesi di una serie di condotte colpevolmente disfunzionali che incidono sulla qualità del servizio", cfr. Sez. III app., sent. n. 348/2021).

Onde correttamente quantificare il pregiudizio realmente patito dalla P.A., occorre considerare:

- la retribuzione lorda percepita dall'agente, nei limiti della prova ex actis della "inutilità", "dispersione" e "distrazione" della risorsa finanziaria (Sez. II app., sent. n. 406/2019; Sez. III app., sent. n. 348/2021);

- nel caso di specie, la soltanto parziale disutilità della spesa correlata alle retribuzioni corrisposte al C., per avere quest'ultimo distolto solo parte delle proprie energie in favore di finalità diverse da quelle istituzionali;

- il dato per cui possono rilevare soltanto le attività "extraistituzionali" (segnatamente a favore di terzi altri dall'Agenzia delle Dogane) compiute nel corso dello svolgimento del servizio (Sez. Umbria, sent. n. 69/2021);

- l'orizzonte temporale nel cui contesto la parte ha espletato attività "extraistituzionale" nell'orario di servizio;

- la presuntiva incidenza, in termini temporali, di tale attività "extraistituzionale";

- i "costi sostenuti per il recupero ed il ripristino della legalità, del servizio o della funzione" (Sez. III app., sent. n. 348/2021);

- più in particolare, le spese (non correlate all'ordinario svolgimento dell'auditing interno - cfr., per tutte, Sez. II app., sent. n. 165/2020) funzionali all'accertamento dei rilevanti fatti (a fronte dell'attività di indagine comunque espletata in sede penale).

Tali essendo i parametri valutativi, deve rilevarsi che la percentuale del 10% della retribuzione lorda, equivalente - secondo la Procura - al pregiudizio da interruzione del nesso sinallagmatico, debba essere ricondotta a equità, secondo il generale canone di cui all'art. 1226 c.c., onde renderla proporzionale e ragionevole (considerati, come si è detto, sia il lasso temporale rilevante, che non può essere anticipato - in difetto di adeguato supporto probatorio in punto di attività concretamente compiute nel periodo di servizio a favore di soggetti altri dall'Agenzia - al maggio 2014, sia la presuntiva incidenza, in termini temporali, dell'attività "extraistituzionale" compiuta dalla parte durante l'orario di servizio).

Analoghi canoni devono essere applicati con riferimento a quello che, in citazione, viene configurato alla stregua di danno da disservizio in senso lato, da rideterminarsi - anche alla stregua delle gravi, precise e concordanti presunzioni emergenti agli atti (artt. 2727 e 2729 c.c.) - in un importo che consideri le effettive rilevanza e incidenza, per come provate, dei costi di auditing esulanti l'ordinaria attività dell'Ente (anche a fronte della riconducibilità degli emersi elementi fattuali, in questa sede rilevanti, all'indagine penale e rilevata, comunque, l'impossibilità di univocamente e chiaramente desumere quanto dell'attività degli auditors, per come documentata negli allegati alla nota 22 settembre 2021 dell'Agenzia delle Dogane, sia stata preordinata all'accertamento della responsabilità del C., in cosa si sia realmente concretata e quali esiti abbia prodotto).

Tutto ciò premesso, visto l'orientamento sull'unitarietà delle poste di danno e considerati i canoni di equità e proporzionalità, il danno da disservizio va calcolato applicando una congrua percentuale all'importo individuato - secondo il principio della domanda che informa il processo contabile - dalla Procura erariale in citazione, globalmente stimandolo ex art. 1226 c.c. nella complessiva somma di euro 3.500,00, rivalutazione inclusa (per analoga impostazione, cfr., per tutte, Sez. II app., sent. n. 348/2019; Sez. II app., sent. n. 406/2019).

Risulta, invece, insussistente il contestato danno da tangente.

Deve, infatti, ritenersi che a fondare l'addebito erariale non sia in sé l'illecita percezione di denaro (rilevante ai fini della contestazione delle correlate fattispecie criminose e, comunque, necessaria anche nell'ottica dell'addebito contabile), ma la sola percezione contra legem che si risolva in un pregiudizio certo alle casse erariali.

Come ha, del resto, sostenuto la giurisprudenza contabile, l'indebita ricezione di somme da parte del dipendente pubblico può rilevare come danno erariale (sub specie di danno da tangente) solo allorché la stessa si traduca in un maggior costo o in una minore entrata per l'Amministrazione (Sez. Lazio, sent. n. 56/2020).

Più in generale, la prova della tangente non esaurisce né assorbe la dimostrazione di tutti gli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa (un danno patrimoniale economicamente valutabile arrecato alla P.A., un coefficiente psicologico almeno pari alla colpa grave, il necessario rapporto di servizio tra il danneggiante e la P.A. danneggiata), che devono contestualmente sussistere.

Se la tangente consente di presumere l'esistenza di un nocumento per l'Erario, la stessa non è automatica fonte di danno né permette di ritenere sottesi o impliciti tutti gli altri elementi costitutivi dell'addebito erariale.

La prova dell'effettivo pregiudizio recato alla P.A. (insieme a quella degli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa) deve essere puntualmente fornita dalla Procura; non avendo giuridica cittadinanza le ipotesi di danno in re ipsa né essendo ammesse deroghe - altre da quelle espressamente delineate dalla legge - al generale regime della responsabilità dei pubblici dipendenti o dei soggetti avvinti da rapporto di servizio.

Premesse le coordinate di riferimento, deve rilevarsi l'infondatezza della domanda di condanna al risarcimento del danno da tangente di entità pari a euro 1.000,00, percepita - come si è detto - dal C. quale controprestazione del suggerimento fornito alla società Chero Piping s.p.a.

Il fatto è, per come risulta dal fascicolo, provato; e trova, parimenti, dimostrazione agli atti l'effettiva dazione della tangente (si richiamano, in merito, le intercettazioni già testualmente citate).

Eppure, non appare provata l'effettiva incidenza, in termini di maggiori oneri per la P.A. (eccedenti l'importo di euro 48.450,06, di cui si è detto), della posta risarcitoria in discorso (cfr. l'atto di citazione, p. 34, ove si fa un riferimento, meramente incidentale, alla somma di euro 1.000,00); anzi risulta, appunto, che la dazione ha rappresentato il prezzo del risparmio di imposta lucrato dalla società Chero Piping s.p.a., risparmio che si è tradotto in un proporzionale danno patrimoniale diretto per l'Erario.

Non risulta che vi sia stato un danno all'Erario altro e distinto dalla richiamata posta di euro 48.450,06 (la cui domanda ha trovato accoglimento); l'eventuale condanna al risarcimento dell'ulteriore somma di euro 1.000,00 comporterebbe una overcompensation non consentita dal sistema.

Analogamente, non si è tradotto in un (provato) danno erariale l'importo di euro 13.500,00 (ricevuti, per come dedotto in citazione, in relazione ai favori alla società Riso R. s.p.a. legati al finanziamento di interesse dei titolari della società).

Vero è che, in sede penale, il C. è stato ritenuto colpevole ex artt. 640 e 416-bis c.p. per aver ingannato i referenti della società Riso R. s.p.a., in gravi difficoltà finanziarie, facendo loro credere di poter far loro ottenere una linea di credito pari a circa cinque milioni di euro nonché l'apertura di conti correnti intestati alla società e ai fratelli R. Claudio e Riccardo presso il Banco Popolare di Lodi; affidamento che il convenuto ha coltivato, insieme agli altri concorrenti nel reato, presentando ai Signori R. il Sig. Bo. Simone, dipendente del Banco Popolare di Lodi.

Agli atti risulta, altresì, la dazione illecitamente percepita.

Per come si è detto, ciò non basta per ritenere integrato un danno erariale da tangente.

La somma corrisposta al C. non si è tradotta, per la P.A., in alcuna effettiva deminutio patrimonii, rispetto alla quale difetta ogni elemento di prova [neppure in termini meramente indiziari; cfr. l'atto di citazione, p. 34, ove si deduce unicamente: "Anche in questo caso a fronte delle tangenti ricevute dal C. (come emerge chiaramente dalle intercettazioni) ci sono stati i favori alla ditta R. s.p.a. e a danno di Agea per il finanziamento che miravano ad ottenere i titolari della ditta R."]. Né appare provato che la parte abbia determinato il fatto causativo del danno nell'esercizio delle sue funzioni o che queste ultime siano state immediatamente strumentali alla causazione del contegno illecito (c.d. occasionalità necessaria).

È mancato un danno certo all'Erario; come è mancato quel nesso che deve avvincere il fatto alle ordinarie mansioni del presunto responsabile.

Quanto si è detto vale anche in relazione all'importo di euro 1.525,00, che, secondo la tesi attorea, sarebbe stato percepito dal convenuto in relazione alla ulteriore vicenda che ha riguardato la società Riso R.

Risulta agli atti che il C. ha posto in essere artifizi e raggiri, rilevanti ex art. 640-bis c.p., onde giustificare la richiesta di proroga presentata dalla società Riso R. s.p.a. (che aveva vinto apposito bando presso l'Agea); ciò, in particolare, consapevolmente contribuendo - con il reperimento della società Ce. s.r.l. (nella persona del legale rappresentante Ce. Guerino), disponibile a predisporre un falso verbale di intervento con relativa falsa fattura - a far sì che venisse certificata la rottura di un compressore impiegato nella lavorazione del riso.

Pure risulta l'avvenuta erogazione - sul conto corrente intestato a C. Albino - dell'importo di euro 3.050,00.

Ora, fermo restando che non risulta provato se e quanto dell'importo sia stato effettivamente corrisposto a Giuseppe C., difetta la puntuale prova (che, almeno in termini di parametri di massima, si sarebbe dovuta fornire) del danno che Agea avrebbe patito [cfr. l'atto di citazione, p. 34, ove si deduce soltanto: «Ci si riferisce in particolare alle somme di denaro elargite a favore di entrambi i germani C. Giuseppe ed Albino, a titolo di "remunerazione" per gli "interventi" forniti dal primo per favorire la ditta R. s.p.a. Ossia il 50% della somma di 3.050,00 euro bonificata a favore del fratello C. Albino (euro 1.525,00), somma per l'intervento con la falsa riparazione del compressore della ditta Ce. volta ad ottenere la proroga dall'Agea per la fornitura di riso dalla ditta R.»] e - più a monte - del nesso tra le ordinarie mansioni del convenuto e il fatto oggetto di addebito.

Non constano, infatti, elementi dai quali possa inferirsi che l'attività espletata dalla parte presso l'Agenzia delle Dogane abbia concretamente e direttamente necessitato o, almeno, reso possibile il contegno causativo del danno. Quest'ultimo appare, invero, slegato rispetto alle istituzionali funzioni espletate dal C.

Il fatto in sé della tangente non assorbe la prova del danno né del nesso di occasionalità necessaria, parimenti indefettibile ai fini dell'addebito contabile.

Fermo, infatti, il principio per cui le poste risarcitorie devono essere compiutamente allegate e provate, in linea con il dettato dell'art. 2697 c.c. (non essendo consentita alcuna attività di supplenza del giudice contabile), mancano a monte gli elementi che consentano di ritenere che la parte abbia cagionato il danno nell'esercizio delle proprie normali mansioni pubbliche o almeno che queste ultime abbiano integrato l'occasione necessaria del fatto pregiudizievole (cfr. Sez. Lazio, sent. n. 458/2020).

In definitiva, il Sig. C. deve essere condannato al risarcimento, in favore della sola Agenzia delle Dogane, della complessiva somma di euro 51.950,06 (di cui euro 48.450,06 a titolo di danno patrimoniale in senso stretto e euro 3.500,00 a titolo di danno da disservizio complessivamente inteso, per come detto sopra), rivalutazione inclusa; somma cui devono essere aggiunti gli interessi legali dalla data del deposito della sentenza sino a quella dell'effettivo soddisfo.

Deve essere, infine, disposta la conversione in pignoramento del sequestro conservativo, nei limiti della detta somma di euro 51.950,06, oltre interessi, e comunque nei limiti della quota pignorabile per legge.

Le spese di giustizia seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 31, comma 1, d.lgs. n. 174/2016 e sono poste a carico di C. Giuseppe nella misura liquidata in dispositivo.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente la domanda attorea come da motivazione, e per l'effetto, condanna C. Giuseppe al pagamento, in favore dell'Agenzia delle Dogane, dell'importo di euro 51.950,06 (cinquantunmilanovecentocinquanta/06), rivalutazione inclusa, oltre interessi legali dal giorno di pubblicazione della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo; respinge per il resto la domanda attorea.

Dispone la conversione in pignoramento del sequestro conservativo, nei limiti della somma di euro 51.950,06 (cinquantunmilanovecentocinquanta/06) oltre interessi, e comunque nei limiti della quota pignorabile per legge.

Condanna altresì il convenuto C. Giuseppe al pagamento delle spese di giustizia che sino alla pubblicazione della sentenza si liquidano in euro 1.042,96 (millequarantadue/96).

Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.

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